Dopo il dibattito tra Trump e Biden, molti si sono convinti che il presidente uscente dovrebbe farsi da parte: perché i democratici sembrano negare o ignorare l’evidenza? E’ possibile che la vittoria di Trump non sia una prospettiva tanto catastrofica? Se lo fosse non sarebbe il caso di mettere in campo un avversario più forte?
La politica americana è un sistema complesso di interessi in contrasto che si bilanciano di continuo (come del resto tutte le strutture sociali del mondo) e in questa rubrica non vi è alcuna pretesa di comprenderla a fondo o di offrire interpretazioni autentiche di quello che succede. L’idea è farsi venire dei dubbi e provare a trarre qualche conclusione dai fatti osservati, che talvolta contraddicono le narrazioni dominanti.
Più in generale la linea di fondo rimane quella di ragionare sullo stato di salute della democrazia e sul ruolo assunto dai politici e dagli esponenti di governo, che appare sempre più formale lasciando che la sostanza e i “dettagli” siano amministrati dagli apparati sottostanti, che non sono (almeno non sempre) democraticamente eletti.
Stando ai fatti, la debolezza di Biden come candidato era ampiamente nota ed era concretamente registrata nei sondaggi precedenti al dibattito: perché lui allora? Forse perché come presidente uscente risultava la scelta meno divisiva per il partito e perché nessuno dei candidati con maggiori probabilità di raccogliere voti a livello nazionale, godeva di un consenso sufficientemente esteso tra i democratici. Dunque, l’interesse egoistico delle diverse componenti del partito ha impedito che venisse proposto un candidato più forte.
Un’altra ipotesi è la narrazione di Trump come catastrofe e… la sua negazione. Se le prossime elezioni sono un plebiscito tra un bugiardo truffatore che vuol realizzare il peggiore dei mondi possibili, allora è meno rilevante quanto sia forte il suo avversario. Se chiunque è meglio di Trump, allora va bene anche Biden.
Alle stesse conclusioni di questa tesi si arriva anche dal suo opposto: se è falso che Trump sia il peggiore dei mali, ha già governato una volta e il mondo è ancora in piedi, forse i candidati più forti del partito democratico potrebbero concludere che opportunisticamente può convenire lasciargli vincere a questo turno.
La verità più semplice e meno intuitiva è che non esiste un signor partito democratico che ha a cuore gli interessi del paese o anche semplicemente di vincere queste elezioni: la candidatura per un ruolo tanto importante è il risultato di un processo complesso, nel qual giocano molti interessi non sempre allineati, quando non espressamente in contrasto.
Poi arriva il dibattito catastrofico e le carte si rimescolano: Biden rischia di dimostrarsi inadeguato tanto per essere contrapposto al peggiore di tutti, quanto per perdere in modo dignitoso aspettando il prossimo giro. Questo è un problema sia per chi lo avrebbe votato turandosi il naso, sia per chi continua a insistere sulla sua validità di candidato.
Non possiamo prevedere come evolverà la situazione, tuttavia possiamo provare a fare una serie di considerazioni in linea con il carattere provocatorio e dubitativo di questa rubrica.
La competizione per determinare l’uomo più potente del mondo, il presidente degli Stati Uniti d’America si svolge al momento tra un ex presidente, populista, demagogo e dalla storia imprenditoriale e umana ampiamente discutibile e il presidente uscente, dall’età avanzata, che ha manifestato evidenti segni di attraversare momenti di scarsa lucidità.
Cosa ci fa pensare questo? Possibile che nessuno tra i miliardari, i manager e i lobbysti e che nell’immaginario complottista governano il mondo sia intenzionato a intervenire per salvare quantomeno le apparenze?
Una possibile eventualità scomoda, che non ho l’arroganza di voler vendere come verità assodata, ma soltanto insinuare come dubbio sottile è che i ruoli apicali delle democrazie avanzate conservino ormai soltanto un’apparenza formale, laddove il governo sostanziale è demandato a un apparato più ampio di funzionari e amministratori che fanno in modo che il mondo possa continuare a girare anche se temporaneamente al comando si trova qualcuno che non ha tutte le rotelle a posto.
Non è bello da sentire, perché vorrebbe dire che il nostro voto vale meno di quello che pensiamo. Ma potrebbe anche garantirci un’ancora di salvezza, quando le libere elezioni dimostrano di premiare i politici opportunisti e senza scrupoli che riescono a capitalizzare il consenso degli elettori meno informati e più superficiali.
Io #votoconipiedi è un podcast di provocazione e riflessione sulla politica italiana e non solo, che porta avanti la strana illusione che si possa fare politica anche senza votare o candidarsi, con effetti nel lungo periodo anche maggiori.