I tuoi valori e il tuo partito
Io #votoconipiedi è un podcast di provocazione e riflessione sulla politica italiana
Come spiegato negli episodi precedenti, al netto della provocazione del nome, questo podcast si prefigge l’obbiettivo di stimolare delle riflessioni in vista delle prossime elezioni politiche e, più in generale, sui meccanismi che regolano il sistema dei partiti.
A questo proposito, prima di promuovere un messaggio costruttivo, sulla necessità di portare avanti una battaglia culturale di lungo periodo per rivoluzionare il sistema, è opportuno continuare nella demolizione di alcune narrazioni volte unicamente a conservare la struttura esistente.
Se nessun partito è perfetto, se dei programmi elettorali sappiamo in anticipo che verrà realizzato ben poco, si potrebbe almeno argomentare, agli estremi, che tra le alternative possibili dovremmo preferire quella che ha maggiori probabilità di portare avanti i nostri valori.
Ad esempio, i partiti di sinistra dovrebbero promuovere una maggiore attenzione per i cittadini meno abbienti e più deboli e una più equa distribuzione delle risorse. I partiti che si rifanno ad una destra liberale dovrebbero promuovere la libertà di iniziativa economica e una maggiore concorrenza a beneficio dei consumatori. Quanto di questa teoria si traduce in pratica? È possibile che per paradosso i partiti finiscano per realizzare l’opposto di quanto dichiarano, vanificando le aspirazioni di chi li vota?
Una chiave di lettura risiede nei ridotti margini di azione per i governi di cui abbiamo parlato nel primo episodio. Se i governi sono espressione di maggioranze eterogenee dovranno trovare dei compromessi, mentre spesa pubblica e pressione fiscale già molto elevati, unitamente all’alto debito pubblico accumulato dagli esecutivi precedenti, lasciano spazio solo per provvedimenti molto circoscritti.
Vediamo allora che le misure molto specifiche a beneficio di minoranze qualificate finiscono a livello generale per produrre effetti opposti a quelli previsti dalle dichiarazioni di intenti.
Se ad esempio concentriamo sussidi e agevolazioni su chi ha redditi molto bassi o non lavora e tassiamo in modo elevato chi guadagna poco di più ed è escluso da questi benefici, produciamo il paradosso di una classe media che, pur lavorando e guadagnando si trova schiacciata dal mancato accesso ai benefici per i più poveri e dall’obbligo di pagare imposte elevate come i più ricchi, finendo per trovarsi talvolta in condizioni anche peggiori dei cittadini più poveri.
Se i sindacati insistono nel difendere prerogative obsolete o non più sostenibili per tutti lavoratori, otterranno l’effetto di garantirle solo a chi ha già un lavoro a tempo indeterminato, scaricando l’onere di aggiustamento su chi non ha ancora un lavoro stabile e si trova a dover accettare condizioni penalizzanti o formule ibride come le “finte partite IVA”
Se chi dice di promuovere l’interesse delle imprese, si limita a proteggere delle rendite di alcune di esse, di fatto sta scoraggiando chi potrebbe crearne di nuove o potrebbe investire nell’innovazione.
Più in generale per dirla con Milton Friedman, quando andiamo a votare dovremmo ricordare che “non esistono pasti gratis”. Pertanto ogni beneficio o provvedimento che i partiti offrono a questo a quel gruppo di interesse è un costo aggiuntivo per tutti gli altri. Non possiamo escludere che una delle cause della generale disaffezione nei confronti della politica nasca proprio dalla percezione di far parte del gruppo che paga sempre il conto per tutti gli altri.
Tirando le somme di questo ragionamento, ha senso votare per i partiti che dicono di rappresentare i nostri valori? In astratto, potremmo illuderci di contribuire a promuovere una visione del mondo, meno lontana da quella che ci appartiene. In concreto dovremmo prendere atto che il mondo contemporaneo è più complicato di quanto non prevedessero le ideologie dominanti del secolo scorso e che determinati schemi e narrazioni, come ad esempio quella dei “lavoratori contro i padroni” o della difesa degli interessi corporativi semplicemente non rappresentano più la realtà.
Non deve allora sorprenderci allora che gli iscritti ai partiti siano sempre meno numerosi e che gli elettori si dividano sempre più tra chi si allontana dalla politica nella percezione (peraltro fondata) che il proprio voto non possa incidere in alcun modo e chi sceglie di votare lo faccia quasi per protesta o per inseguire questo o quel beneficio specifico che ciascun partito continua a promettere.
Magari è sgradevole dirlo tuttavia il voto basato sull’ideologia e sul meno peggio finisce per essere quasi una giustificazione per la coscienza da parte di chi non ha voglia di riconoscere che l’interesse generale del paese non è tenuto in nessun conto da nessuna delle forze politiche in campo e che il rituale delle elezioni serve solo a certificare una ripartizione decisa a tavolino dei seggi presenti e delle cariche che da questi seggi dipendono. A tal proposito il mio amico Michele Boldrin ha coniato un’espressione che mi piace molto parlando di “Democrazia Plebiscitaria Signorile” argomento che approfondirò nelle prossime puntate.
Io #votoconipiedi è un podcast di provocazione e riflessione sulla politica italiana, potrebbe diventare un instant book da leggere prima del prossimo 25 settembre se ricevo riscontri positivi.