La vittoria del centrodestra alle prossime elezioni sembra data per scontata tanto dagli istituti di ricerca che realizzano i sondaggi quanto dagli stessi candidati e l’unico elemento di incertezza al momento sembrerebbe costituito dalle dimensioni di questa vittoria e da come la “sconfitta” si potrà distribuire tra i partiti perdenti.
Questi ultimi, che in un diverso stato del mondo avrebbero potuto essere alleati, se avessero preso decisioni e fatto scelte tattiche differenti, sembrano più interessati a darsi addosso reciprocamente nella speranza di sottrarsi qualche voto, che non a combattere una battaglia che, sulla carta sembrerebbe già perduta. Tutta questa tattica e questa tecnica lasciano spazio ad alcune riflessioni.
La prima osservazione può concentrarsi sul rapporto con il governo Draghi e dell’agenda che viene attribuita al presidente del consiglio dimissionario, e dallo stesso qualificata più come un modus operandi, che non come un programma politico. La coalizione data per vincente dai sondaggi include un partito, Fratelli d’Italia, che è sempre stato all’opposizione del Governo Draghi, insieme ad altri due Forza Italia e Lega per Salvini che invece hanno sostenuto il governo per gran parte della sua vita salvo poi contribuire a farlo cadere. Sull’altro versante l’accordo tra il PD e Azione di Carlo Calenda, due partiti che hanno sempre sostenuto il governo Draghi, si è infranto per la volontà del primo di allearsi con I verdi di Bonelli e la Sinistra di Frantoianni, che hanno invece sempre osteggiato l’operato dell’ex banchiere centrale. Da ultimo il mancato accordo tra PD e Movimento 5 Stelle, entrambi partiti che hanno sostenuto, il governo uscente, sembrerebbe dovuto essenzialmente alle responsabilità del partito di Grillo nella caduta di Draghi.
Come leggere tutto questo? Come premessa va detto che non è corretto valutare le alleanze sommando semplicemente i voti dei partiti che le compongono, anzi va detto che l’esercizio più difficile è stimare il saldo netto tra elettori che tra elettori favorevoli e contrari all’accordo. Tuttavia, secondo le analisi più accreditate del voto al prossimo 25 settembre l’unica possibilità di competere concretamente con il centrodestra risiedeva in una coalizione tra PD e il Movimento 5 Stelle, che eventualmente dopo le elezioni si sarebbe potuta accordare con il terzo polo. Capite bene che un sistema di questo genere ha ben poco a che vedere con le ideologie e con i programmi, che pure sono alla base della propaganda fatta in campagna elettorale. La realtà più difficile da accettare per molti elettori è che questo sistema si configura, come spiegato dal mio amico “Michele Boldrin”, come una “democrazia plebiscitaria”.
In particolare, nell’articolo intitolato “Diario elettorale. Parte III” pubblicato sul sito dell’associazione LiberiOltre le Illusioni il 18 agosto 2022 si spiega come l’esistenza di sondaggi piuttosto precisi e di informazioni storiche sui comportamenti elettorali nei vari collegi permette di prevedere con accuratezza come si distribuirà il voto sia nei collegi uninominali che in quelli proporzionali. Ne consegue che i partiti di fatto possono prevedere con elevata probabilità quali dei propri candidati hanno reali possibilità di essere eletti e che gli elettori sono chiamati semplicemente a “ratificare” una certa composizione del parlamento che è in larga misura il risultato delle decisioni delle segreterie e degli accordi fatti tra i partiti.
Secondo Boldrin questa democrazia plebiscitaria – in cui l’elettore può solo prendere o lasciare il menù predisposto dai 150-200 “padroni dei partiti” – è il punto di arrivo d’un processo di trasformazione dell’assetto costituzionale reale, che iniziò circa 40 anni fa e per approfondimenti su questo tema vi rimando all’articolo che trovate sul sito di liberi, che potete raggiungere facilmente dal link nelle note del podcast.
Capite bene che, tutta la tecnica e la saccenza con la quale si discute di come Letta si sarebbe dovuto alleare con Conte o di come, l’alleanza del centro destra così unita in campagna elettore possa incontrare difficoltà e dividersi sulla nomina del presidente del consiglio, perché la leader del partito con più voti, Giorgia Meloni, non sarebbe adeguata al ruolo.
Si tratta dell’ennesima conferma che il sistema dei partiti è costruito come un circolo chiuso e autoreferenziale, con riferimento al quale il voto dei cittadini e la loro volontà è sempre meno rilevante. Chi si trova all’esterno può illudersi di far valere la propria voce indirizzando per protesta il proprio consenso verso forze politiche minoritarie, che dichiarano di volersi opporre a questo stato di cose, ma poi come è successo di recente al movimento cinque stelle e in passato alla lega, il risultato sarà solo di sostituire un simbolo con un altro all’interno del cerchio che rimane chiuso alle istanze dei cittadini.
Nessuno dei partiti attualmente in corsa può modificare questo stato di cose e soprattutto non esistono incentivi per farlo: la priorità è conquistare seggi e perpetrare la propria esistenza e per farlo qualsiasi coalizione o cambio di programma può essere utilizzato. A questo punto a che scopo leggere i programmi o interessarsi alle vicende di soggetti che non ci rappresentano che perseguono essenzialmente il proprio interesse individuale?
Lo scopo di questo podcast è sollevare il velo di ipocrisia che caratterizza le discussioni sulla politica italiana: non esiste una competizione di idee, di valori o il confronto tra diverse visioni del mondo. C’è una partita a scacchi tra lobby che cercando di mantenere e accrescere il proprio potere e nel farlo comprano pacchetti dei nostri voti con qualche mancia e tanti racconti per lo più infondati. Per questo serve un cambio di paradigma culturale, che parta dalla società civile e che si ponga obiettivi di più ampio respiro, senza alcun vincolo o pretesa per l’immediato. Nel breve periodo, nella partita tra mestieranti della politica e funzionari che portano avanti il paese su binari già tracciati da vincoli istituzionali e attivano il pilota automatico dei governi tecnici all’occorrenza, non possiamo essere altro che spettatori.
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