Puntuali come la morte e le tasse si ripropongo le discussioni sulla scuola, che nel nostro paese riguardano una prevalenza della teoria sulla pratica (giammai alternanza con il lavoro), una contrapposizione classista tra licei per le élite e istituti per i comuni mortali e altre storie tramandate che nessuno sembra voler mettere in discussione. Io la prendo in modo più leggero
La scuola che vorrei innanzitutto…
…è aperta 365 giorni all’anno e non è la prigione dove docenti frustati e studenti annoiati sono costretti scontare una pena, che qualcuno ha deciso per loro, convinto di conoscere con certezza cosa è bene e cosa è male. Un posto dove non si studia soltanto, ma si sperimenta, si discute, si acquisiscono strumenti per comprendere la realtà e per contribuire alla società come validi cittadini e gli strumenti non si limitano ad un elenco di nozioni stabilito dal ministero.
Un posto dove il giorno di Natale si può giocare a tombola, dove a capodanno si può fare una festa e il 15 di agosto, c’è sempre qualcuno che organizza qualche cosa. Un posto dove è obbligatorio studiare e insegnare solo alcune cose, che un processo di validazione strutturato e soggetto revisioni periodiche ha definito come utili e rilevanti per gli obiettivi della istituzione. Oltre quest’obbligo, nella scuola che vorrei, c’è la possibilità di studiare e sperimentare anche tante cose che ad alcuni paiono utili e ad altri semplicemente belle, ma la parte più bella è che sono tutti liberi di scegliere.
Sono liberi gli studenti, che possono seguire il proprio percorso, che contenga alcuni elementi uguali per tutti, altri da scegliere tra alternative strutturate per rendere coerente il piando di studi, e alcuni altri completamente facoltativi. Studenti liberi di studiare il minimo indispensabile per ottemperare agli obblighi di legge oppure di sfruttare al massimo le molteplici opportunità offerte dalla scuola anche al pomeriggio e alla sera.
Sono liberi i professori di scegliere percorsi di carriera differenti, con livelli differenziati di impegno e di competenze richieste. Liberi, di passare a scuola tutte le ore che vogliono, di sperimentare, organizzare attività e poi premiati con un compenso maggiore commisurato all’impegno, all’innovazione e allo stimolo fornito agli studenti e con un maggiore riconoscimento sociale. Liberi anche, se vogliono, di lavorare, impegnarsi e guadagnare di meno. Liberi, ma anche responsabili delle proprie azioni e soggetti a verifiche sulle attività svolte, sull’aggiornamento e manutenzione delle competenze.
Ma una scuola così chissà quanto costa…
La scuola che vorrei costa tanto, ma credo che tutti sarebbero felici di pagare per una buona istruzione che è il migliore degli investimenti. Per questioni di equità (oggi in Italia le tasse dei genitori relativamente poveri mantengono l’università frequentata dai i figli di chi è relativamente più ricco) e allineamento degli interessi (taluni abusano dei servizi che non pagano), la scuola che vorrei la paga chi la utilizza e in modo commisurato a quanto la usa. Per consentire la possibilità di accesso a tutti, chi guadagna di più paga una retta più alta e chi guadagna meno di una certa soglia, non paga nulla.
Va beh, ma è tutto rosa e fiori?
No, c’è ovviamente una parte meno gradevole, un rovescio della medaglia. La scuola che vorrei è un posto serio che rispetta e pretende rispetto tanto dagli adulti professori e genitori quando dai giovani studenti. I premi e gli incentivi per i più capaci e per l’impegno straordinario, non possono che essere bilanciati da interventi su chi non si dimostra capace, non rispetta gli impegni presi e non raggiunge gli standard minimi richiesti.
Un insegnante che non lavora o che lavora male, danneggia generazioni di studenti con ripercussioni su tutta la società. Con tutte le cautele necessarie ad un tema tanto delicato , non è giusto e non è tollerabile un sistema scolastico nel quale non è praticamente possibile valutare l’operato di un docente o rimuoverlo dal posto che occupa. La scuola che vorrei applica anche valutazioni oggettive, standardizzate e confrontabili nello spazio e nel tempo, sull’apprendimento degli studenti: sappiamo che uno studente è molto più di quello che dice un voto, ma dovrebbe essere chiara a tutti l’utilità e la necessità di queste metriche
E chi sarai mai tu per arrogarti il diritto di proporre una scuola ideale?
Io sono uno che paga le tasse, con le quali si finanzia la scuola di oggi e che in una certa misura dovrebbero probabilmente finanziare anche la scuola che vorrei. Sono stato studente e sono genitore di studentesse e quindi utente finale dei servizi forniti dalla scuola. Pur non avendo l’arroganza di proporre soluzioni definitive o di possedere la verità in tasca, penso che in un paese civile e democratico il parere di chi paga il conto e utilizza il servizio finale dovrebbe essere tenuto in considerazione.
Ma cosa c’entra la scuola in un rubrica di politica?
A pare che la politica volendo c’entra con tutto e tutti (mi piace vincere facile). La scuola determina la capacità dei cittadini di comprendere il mondo che li circonda e di esercitare i propri diritti. La politica, oltre a trattare la scuola pubblica come un serbatoio di voti e un ufficio di collocamento, ha da sempre interesse a controllare che l’istruzione pubblica e privata promuovano una cultura e una visione del mondo che non contrasti troppo con le proprie ideologie di riferimento.
Che altro aggiungere sulla scuola che vorrei?
Nello scorso episodio ho immaginato per gioco il punto di vista sull’innovazione tecnologica dei principali partiti e volendo fare lo stesso con la scuola potremmo osservare che:
per la sinistra la scuola è un serbatoio di voti nel quale gli interessi degli studenti non contatto e non conviene premiare i docenti migliori perché livellando tutto si ottiene il massimo consenso col minimo sforzo e impegno economico
per la destra, la libertà di scelta è un modo surrettizio di favorire le scuole private e in particolare quelle confessionali, in modo da pagare le scuole dei ricchi con le tasse di poveri
Ci vorrebbe insomma una forza politica che non sia né di destra né di sinistra e che mettesse al centro gli interessi degli studenti e il futuro del paese
Innovazione e Politica Italiana
Cosa pensano la Meloni e la Schlein dell’innovazione? Quanto ne sentite parlare dai progressisti di centro? La priorità più grande evidenziata dal Report Draghi sulla competitività è ignorata dai politici italiani. Poi domandatevi perchè non si trova un argine al declino del nostro paese.
Io #votoconipiedi è un podcast e una newsletter di provocazione e riflessione sulla politica italiana e non solo, che porta avanti la strana illusione che si possa fare politica anche senza votare o candidarsi, con effetti nel lungo periodo anche maggiori.